“Un freno alle ingiustizie. Mirco Mion (Geometri fiscalisti): ora favoriti i centri storici”

6 Novembre 2015 0 Di mircomion

(Intervista a cura di Ilaria Bonuccelli)

 

“La riforma del Catasto serve. Deve porre rimedio a una situazione di privilegio e disuguaglianza non più accettabile: oggi, infatti, chi ha un appartamento signorile in un centro storico paga meno di chi ha un appartamentino di recente costruzione in periferia. E solo perché, magari, l’immobile nel centro storico è accatastato come abitazione popolare o ultrapopolare”. Dritto al punto Mirco Mion (foto), presidente di Agefis, l’associazione nazionale dei geometri fiscalisti. Occhi puntati su palazzo Chigi, oggi. In consiglio dei ministri dovrebbe andare il decreto che (ri)lancia la riforma del Catasto, effettiva – pare – dal 2020.

Presidente Mion, ritiene davvero equa la riforma del Catasto in discussione? “È equa perché punta a garantire una maggiore equità fiscale”.

Ma la persegue? “Il principio alla base della riforma è rivedere i valori e quindi le rendite catastali in base al parametro dei metri quadri, quello che si usa per valutare il valore di un immobile sul mercato immobiliare. L’obiettivo è avvicinare il valore della rendita a quello di mercato. Perciò il criterio dei metri quadri nel calcolo della rendita sostituisce quello (in vigore dal 1939) dei vani”.

Perché il criterio dei metri quadri sarebbe più equo di quello dei vani? “Perché a parità di vani le abitazioni di una volta sono molto più grandi di quelle recenti. Le case moderne possono avere anche più stanze, ma in media, i locali misurano 10-12 metri quadri; le stanze delle case di inizio secolo arrivavano anche a 20 metri e oltre. E spesso avevano soffitti altissimi (che possono essere soppalcati). Le abitazioni attuali hanno soffitti al massimo di 2,70 metri. Gli spazi sono diversi”.

Questo cosa significa? “Che spesso alle abitazioni di periferia viene attribuito un valore superiore all’attuale base imponibile”.

Dovrebbero avere una rendita più bassa? “Dovrebbero avere una rendita catastale proporzionale al loro reale valore. E sì, le abitazioni di una certa categoria – come quelle più nuove, ad esempio in periferia – probabilmente – dovrebbero pagare meno di quello che pagano”.

Ma così i conti rischiano di non tornare. “Non è esatto. Uno dei principi imposti dalla riforma è quello della invarianza del gettito”.

Che cosa significa l’ “invarianza del gettito”? “Significa che a fronte di alcune categorie di contribuenti che pagheranno meno, perché certe rendite catastali saranno riviste al ribasso, altri pagheranno di più: il saldo del gettito, però, dovrà essere identico”.

Quale gettito? “Lo deve stabilire la legge. Deve chiarire se si tratta di gettito da tributi locali (come Imu, Tasi e Tari) o da imposte nazionali (dall’Irpef, all’imposta di registro per la registrazione, appunto, dei contratti di compravendita degli immobili). A nostro avviso, come Agefis, l’invarianza del gettito dovrebbe essere a carattere nazionale”.

Perché? “Sempre per una questione di equità fra cittadini”.

Si spieghi meglio. “Le aliquote delle imposte locali vengono stabilite dai singoli Comuni. Ora prendiamo il caso di due Comuni confinanti, con una situazione urbanistica analoga, con zone censuarie simili e quindi con identiche rendite catastali. In un Comune, i cittadini hanno la Tasi all’1%, nell’altro al 2,5%. O addirittura, in un territorio i residenti sono esentati dal pagamento: dov’è l’equità fiscale? E soprattutto dov’è la progressività della contribuzione rispetto al reddito invocata anche dalla Costituzione?”.

Se è per quello, allora, neppure la riforma sembra equa. La revisione delle rendite porta aumenti assai diversi da città a città. In Toscana, ad esempio, ci sono differenze enormi fra Livorno, e Forte dei Marmi. O fra Livorno e Firenze. “Questo significa solo che a Livorno o in altre città le rendite catastali sono già simili ai valori di mercato, mentre altrove c’è una enorme differenza”.

Però, può anche non essere equo penalizzare chi vive in dimore o case di valore storico: è vero che valgono di più, ma costa di più anche mantenerle. “Nella legge – e non è una novità – sono previste agevolazioni specifiche. Un abbattimento del 50% della base imponibile per i proprietari di dimore storiche. Ma è previsto anche un abbattimento forfettario del 20% della base imponibile per i proprietari delle abitazioni ordinarie e del 30% per i fabbricati produttivi. Questo al fine di abbattere in via preventiva il contenzioso che potrebbe derivare dalla rivalutazione delle rendite catastali”.

Questo dovrebbe funzionare da deterrente. Allora non si prevedono controindicazioni per la riforma? “Un rischio ci potrebbe essere, invece. Soprattutto se l’invarianza del gettito dovesse riguardare i tributi locali del triennio in corso: una corsa dei Comuni ad aumentare le aliquote, in modo da avere una soglia più alta di introiti da mantenere dal 2020 in poi”.

Fonte: Il Tirreno